Certamente ti domanderai
chi sia l’uomo che parla ad oltranza con le mie labbra,
l'uomo che ogni volta ti lascia incerta a masticare il dubbio
d’aver perso il senso e l’occasione.
Non è uomo per te,
bambina che raccogli fiori e li perdi lungo strada,
non è uomo per te.
Ti si scioglie fra le mani,
e benché tu abbia, ragionevolmente,
esperienza ed audacia,
non ne puoi trattenere la sostanza.
E’ un uomo di ritmi sincopati
in controtempo e tendenza,
è un abnorme vuoto di posizione che si muove sempre restando lì...
eppure non lo vedi.
E’ un uomo,
un uomo maledettamente vecchio
che mostra il suo volto intatto
e scevro dai segni del tempo.
L’uomo che ora guardi
ha trafitto un amore antico
per guadagnarne il cuore e berne il succo...
ma è retrogusto di fiele che ormai gli guasta il sapore d'ogni cosa.
E' un uomo che parla e non dice,
un uomo che per ogni istante d’amore perde una vita.
L’uomo che ora guardi non ti guarderà,
lui nelle sere di appassionata malinconia maledirà d’averti amata sottovoce.
In quel singolare anfratto,
tra fuga e necessità,
si ciberà di te e di te si nutrirà...
mi piace pensare che, infine, a tuo modo tu gli appartenga.
L’uomo che vedi quando mi cerchi
è lo stesso che inseguendo i tuoi occhi,
dopo averti trovata, rinnega lo sguardo
e ricorda d’avere una sorte di provvisorie dolcezze.
L’uomo che guardi,
bambina che raccogli fiori e li perdi lungo la strada,
son io soltanto.
Dunque temi per quel che c’è da temere,
raggranella i sogni
che devotamente deponi sulla mia strada
e lasciami andare.
Non c’è posto nei posti di questa vita
che possa concedermi giaciglio.
Io sempre ritorno a partire ed inciampo,
perché soli si cade più spesso e più spesso si riguadagna la via.
Son io l’uomo che guardi,
io che disegno il giorno crudele e smanioso in cui mi scorderai,
e mi scorderai quando finalmente andrò dritto per strade traverse
lasciandoti sulla porta di casa a cullare la vita.
Solo ti chiedo di accendere un lume,
un flebile lume sottile nel tuo giardino,
perché a volte ritorno e potrei,
una sera potrei, fermarmi e fumare sotto il tuo patio.
Temi,
temi quel che c’è da temere
di me e dei miei occhi esiliati,
e lasciali giustamente bagnare di memorie sconfitte.
Io son stato così, ricordalo ancora,
son stato un brevissimo autunno...
e se niente mi appaga e mi scalda
niente m’appartiene davvero.
È nuovamente l’ora di Altrove,
bambina che raccogli fiori e li perdi lungo la strada,
dunque volgiti indietro.
Sarò disordinato e tremante nel prender la via,
in fondo amare è stato al tempo un buon mestiere e potrei,
e potrei, desiderare ancora di sgretolare la mia pelle al calore terribile di te,
di lasciare siano le tue mani, nuovamente le tue mani, a percorrer le mie.